I Blue jeans vengono brevettati il 20 maggio 1873, un martedi di 145 anni fa.
Fedeli compagni di viaggio nella vita, i jeans non conoscono distinzioni di età e di circostanze: classici o scambiati, strappati o bucherellati, stretti o a zampa d’elefante, con i bottoni o con la zip, non tramontano mai, resistendo a tutte le mode.
Nella storia dei pantaloni più amati in assoluto, c’è l’incontro della tradizione tessile italiana e il senso d’avventura dei pionieri del West America.
Infatti l’invenzione dei blue-jeans non è americana come spesso si pensa, ma riconducibile, per il suo utilizzo, alla Genova mercantile del XVI secolo.
Infatti il termine “Blue Jeans” deriva da “bleu de Gênes”, e indicava un tipo di tessuto molto resistente dal colore blu, chiamato “tela blue” che veniva utilizzato per confezionare sacchi per vele e per coprire merci sulle navi mercantili.
Noto come fustagno, la sua produzione la si deve alla città di Nîmes, che oltre a tinteggiare il tessuto con l’indaco (proveniente dalle “Indie”), a differenza di Chieri che usava il Guado (“oro blu” coltivato in Piemonte), confezionava già calzoni da lavoro indossati dai marinai genovesi.
La storia racconta come Garibaldi, marinaio nella battaglia di Marsala, indossasse proprio un paio di jeans.
Ma è nel secolo XIX, grazie ai legami molto stretti tra le due città portuali, che la “tela blue”, tanto apprezzata dai mercanti inglesi e americani, espatria nell’America dei cercatori d’oro e diventa l’indumento da lavoro primario. Alla fine dell’ottocento,: il grande “marchio storico” che diede origine alla grande industria del Jeans fu Levi Strauss.
Nella seconda metà dell’Ottocento s’intensificò maggiormente l’immigrazione dalla vecchia Europa verso gli Stati Uniti d’America, soprattutto per l’inizio di quel fenomeno che va sotto il nome di Corsa all’oro e che trovò nella California il suo principale teatro.
In America, il tessuto “Jeans” diventa sinonimo di pantalone a 5 tasche, e il “Denim” da “de Nîmes” il tessuto del pantalone
Un destino cui andò incontro la famiglia Strauss, ebrei di origine bavarese, che con i due figli maggiori gestiva una merceria a New York.
Il terzogenito Loeb, dopo aver cambiato il suo nome nel più familiare Levi, preferì andare a lavorare nel ranch di uno zio in Kentucky e qui cominciò a farsi un’idea dei limiti dell’abbigliamento utilizzato nei lavori manuali, che decise di portare avanti come occasione imprenditoriale facendosi anch’egli catturare dai richiami delle miniere d’oro della California.
Più che il metallo prezioso, gli interessavano le esigenze dei minatori, in termini di indumenti adatti al loro specifico lavoro.
Fu così che nel 1866 fondò la Levi Strauss & Co. e aprì, in Battery Street, una rivendita di stoffe, abiti e stivali da lavoro (oggi sede legale della compagnia), cui affiancò l’attività di ambulante presso le miniere, dove vendeva tra gli altri un particolare indumento, noto più tardi con il nome di salopette.
Per questo e gli altri pantaloni utilizzava la de Nîmes, pesante stoffa di colore blu che prende nome da una città di tessitori della Provenza, successivamente ribattezzata “denim”.
Un tessuto simile veniva prodotto in Italia e adoperato per i pantaloni dei marinai genovesi, chiamati per questo “jeans” (da Jeane, termine inglese che indica la città di Genova); con quest’ultimo nome iniziò nel 1870 una produzione in serie di pantaloni da lavoro, affidandosi a una rete di cucitrici.
Presto si rese conto dell’estrema fragilità dei suoi capi, che cedevano specie all’altezza delle tasche.
Uno di questi modelli finì per caso tra le mani di Jacob Davis, un sarto di origini lettoni, che si trovò a doverli riparare per un signore di considerevole stazza; gli venne l’intuizione di rinforzarli con piccoli rivetti (giunti di metallo), aggiunti all’attaccatura delle tasche e in altri punti critici, constatando che in questo modo il pantalone diventava più resistente.
Informò Strauss tramite lettera della sua preziosa modifica, esortandolo a proteggere l’invenzione con una richiesta di brevetto e promettendogli la metà dei diritti.
L’altro accettò e il 20 maggio del 1873 si videro riconosciuto il brevetto n° 139.121, assegnato al modello jeans “XX”, che presentava la doppia cucitura sulle tasche (detta “The Arcuate”) e l’etichetta di cuoio sul retro, a destra.
Il logo Levi’s cominciò ad apparire dal 1886, quando si passò alla produzione su scala industriale, con l’apertura delle prime due fabbriche in California.
Quattro anni dopo debuttò lo storico modello 501, dove la cifra indicava il numero della partita dei nuovi pantaloni.
Negli anni Venti del XX secolo, il brevetto scadde spianando la strada ad altri produttori in tessuto denim, che contribuirono ad accrescere la popolarità dell’indumento.
Nei decenni a seguire, la sua comparsa sul grande schermo, e in seguito nella pubblicità televisiva, lo rese un simbolo delle generazioni moderne e della moda made in USA ispirata ai cowboy del West, fino a diventare un capo d’abbigliamento evergreen.
Stretti, scoloriti, dal lavaggio più chiaro a quello più scuro, liscio o delavé, a campana o molti larghi e confortevoli.
La storia dei blue jeans segue di pari passo lo stile e l’età di chi li indossa, in stretta sintonia con le nuove proposte dell’alta moda.
Curiosità: